Che si tratti di censura del capezzolo o di peli del corpo, Steph Wilson, fotografa londinese con base nell’East London, sa come affrontare un tabù a testa alta e trasformarlo in un lavoro bello e politicamente efficace. Ha messo delle uova fritte croccanti su un paio di tette per Dazed come reazione alla sanificazione di Instagram della forma femminile e ha esplorato le funzioni corporee con Lily Newmark per Vice. Quando non smonta gli stigmi che circondano il sesso, il ciclo mestruale e tutto il resto, puoi trovarla mentre gironzola per Londra in compagnia del suo pappagallo Tomato.

Steph fa parte a pieno titolo di quella nuova generazione di giovani fotografi che sta dimostrando l’importanza del ruolo della narrativa nel proprio lavoro: dopo tutto, qual è il senso di esistere di una foto che, per quanto esteticamente bella, non sta comunicando qualcosa dotato di un significato più profondo della sua stessa immagine?

Umorismo, intelligenza e ideologia femminista: questi i tratti salienti del lavoro e della poetica di questa artista pionieristica. Il suo lavoro è un precario ma perfetto equilibrio tra arte, politica e moda. Nel corso degli anni ha collaborato con Dazed, Vice, W Magazine e Mulberry ed è anche la fondatrice del collettivo artistico Lemon People, da lei definito come un’affinità di artisti, scrittori, fotografi, registi e musicisti.

Dalla serie “Emoji”
CREDITS: http://www.steph-wilson.com/index/

La fotografia è sempre stato un tuo interesse o avevi altri progetti da ragazza?

Per la maggior parte dei miei anni giovanili avevo in testa di fare la pittrice, perché tutto quello che ho sempre fatto è stato dipingere. Abbastanza in fretta però Londra mi ha fatto capire che dipingere è un po’ più complicato di quanto pensassi, quindi la fotografia è diventato il mio principale veicolo comunicativo e creativo.

Quale aspetto della fotografia ti affascina di più?

Le cose che amo in particolare della fotografia sono la sua immobilità e, contemporaneamente, la sua capacità di influenzare le idee e le coscienze. In generale mi piacciono le vecchie cose: i vecchi vestiti, le vecchie e brutte piante d’appartamento che le persone non vogliono più, mi piace l’idea coltivare la vita di questi oggetti. La fotografia, in un certo senso, può catturare tutta quella vita in un singolo fotogramma come una sorta di memorandum. Un’immagine può essere carica di politica, di umorismo, di amore (o di odio) e talvolta emettere anche la propria luce. Direi quindi che amo particolarmente il paradosso che si genera dall’immobilità delle fotografie e dalla loro capacità di creare contemporaneamente un movimento emotivo.

Che cosa stai cercando di fare con la tua arte?

Attirare le persone lontano dal pensiero pigro. Il pensiero pigro è sbagliato in tutto. È bello cambiare le menti delle persone quando possibile.

Cosa ti distingue dagli altri giovani fotografi?

Non penso che il distinguermi dagli altri colleghi sia necessariamente qualcosa a cui aspiro. Conosco tante giovani fotografe che amo come amici e rispetto come artisti come Eleanor Hardwick, Alice Zoo, Maisie Cousins, Francesca Allen, Scarlett Carlos Clarke e Chloe Le Drezen. Sono onorata di stare accanto a loro. Come donne, dipendiamo la forza e il supporto l’una dell’altra, non si tratta di chi supera chi, quanto piuttosto di godere del fatto che stiamo riuscendo come donne insieme. C’è abbastanza spazio per tutti noi!

Dalla serie “Back to the land”
CREDITS: http://www.steph-wilson.com/back-to-the-land

Chi ti ispira di più?

In questo periodo sono molto affascinata da Chris Killip e Nick Waplington: le loro composizioni apparentemente casuali e l’idea di inserire momenti della vita reale nelle loro immagini sono elementi che mi piacerebbe reinterpretare e utilizzare nel mio lavoro. La gente esce dalla cornice del quadro come se fosse annoiata dall’immagine: in generale mi piace molto l’idea di infrangere e sovvertire le regole tradizionali della fotografia.

Cosa invece ti ispira?

Amo tutte le cose che mi fanno ridere, come quelle che mi fanno arrabbiare. E amo sovrapporle e mischiarle con quelle realtà che trovo belle. Parlando di questo posso solo essere vaga, ma proprio perché sto parlando di una cosa vaga di per sé, l’ispirazione!

Qual è la cosa più coraggiosa che puoi fare quando sei giovane?

In un mondo in cui la vanità si è evoluta in virtù, penso che mostrare umiltà e gentilezza pur avendo la certezza di fare ciò che credi sia giusto sia davvero una cosa coraggiosa. Essere rispettosi pur essendo schietti è un equilibrio difficile, e come donna vivo una battaglia costante per raggiungere quell’equilibrio, mentre cerco di non aderire ai molteplici stereotipi contro le donne che si stanno “costruendo”.

Dalla serie “Emoji”
CREDITS: http://www.steph-wilson.com/index/

Qual è il miglior consiglio per farcela nelle industrie creative?

Sto ancora cercando qualcuno che mi dia questo consiglio! Ma, da quello che ho captato finora, si tratta di capire cosa vuole un cliente / rivista / consumatore e confrontarlo con ciò che si desidera personalmente. Occorre quindi trovare il giusto equilibrio, appoggiandosi a se stessi, e allora le cose possono farsi un poco più facili.

Qual è la cosa più eccitante della cultura popolare moderna?

In realtà sono un po’ spaventata, ma anche decisamente incuriosita da come sfruttarlo. Le cose vanno e vengono e si trasformano così rapidamente, ma la stessa infrastruttura che consente tutto questo (social media, blog, piattaforme di notizie online) mi regala anche un enorme strumento attraverso il quale perseguire un cambiamento positivo. Internet è il nostro supporto vitale ora; può apparire un po’ surreale ma così è, ogni giorno.

Quali i tuoi progetti adesso?

Ho alcuni scatti in cantiere che mi rendono davvero entusiasta e sto anche lavorando a un cortometraggio sperimentale visto che è passato del tempo dall’ultima volta che ho giocato con i video.

Dalla serie “Love set you going like a fat gold watch”
CREDITS: http://www.steph-wilson.com/love-set-you-going/

Steph Wilson odia parlare di se stessa. Eppure quando si tratta del suo lavoro, scopri che finisce per includere sempre elementi di se stessa all’interno della cornice: se guardi attentamente il suo lavoro puoi starne certo, da qualche parte nella composizione c’è un pezzettino dei suoi piedi o della sua ombra. «Penso che inserire in una foto il ricordo della presenza del fotografo possa essere un elemento curioso» spiega «un assaggio dello spettatore originale».

Cresciuta a Farnham, nel Surrey (una delle sue primissime case, da bambina è stata una piccola barca), Steph lasciò casa per una borsa di studio all’età di 16 anni. Saltando a pie’ pari l’università, ha affinato le sue capacità creative in maniera empirica, canalizzandola nelle sue fotografie.

Aggressivo, esplicito e indubbiamente suggestivo, il suo lavoro si concentra tipicamente sulla forma femminile, collocata in un contesto incongruo come un campo o una foresta, incorniciato da un elemento esterno estraneo al contesto: un frutto, un paio di guanti, un insetto, un animale o anche un paio di forbici.

Un progetto di spicco è Emoji, una serie di scatti di moda che ha completato per Dazed nel 2016, il cui intento è discutere se la censura sui social media sia andata troppo oltre. I soggetti vengono fotografati parzialmente nudi, con le parti anatomiche ritenute sconvenienti dalla morale coperte da oggetti reali. Questi elementi sono una rappresentazione simbolica delle emoji e vengono usati non solo per il loro appeal estetico, ma soprattutto come via per sottolineare la frequenza con cui si censurano i nudi sui social.

La durezza e stupidità delle regole di censura su Instagram, una piattaforma prevalentemente utilizzata dai creativi per mostrare il lavoro, è così riassunta da Stephanie: «Quello che non capisco è perché un bambino di 12 anni (età minima per accedere alla piattaforma – N.dA) non possa essere esposto ai capezzoli di una donna nuda, fotografati in modo artistico, ma possa essere invece esposto quotidianamente al corpo semi-nudo di una donna usato per puri scopi di marketing. Quelle immagini rendono terrificanti i capezzoli “veri” e normalizzano al tempo stesso la forma sessualizzata dei corpi levigati e perfetti usati in pubblicità. Non capisco davvero: cosa succede se noi donne non ci prestiamo più a vendere oggetti attraverso l’esposizione delle nostre tette? Non potremmo più mostrarle? O le mostriamo per vendere qualcosa o non le mostriamo affatto? No, perché, sai, sono solo tette e non ce le possiamo levare…».

 

La tua serie di emoji ha sfidato le regole di censura su Instagram. Cosa volevi denunciare? Cosa ti disturbava di quelle regole e limitazioni?

L’idea fasulla che i capezzoli maschi siano accettabili mentre quelli delle donne sono espliciti. Avevo l’impressione che quelle regole servissero solo ad accentuare un problema che invece non sarebbe neppure dovuto esistere.

Dalla serie “Emoji”
CREDITS: http://www.steph-wilson.com/index/

La gente parla molto di “liberare il capezzolo”: l’hastag #FreeTheNipple è trend topic su Twitter. Quali sono le sue opinioni sull’argomento? Le donne avranno mai la totale libertà sui loro stessi corpi?

Forse in Occidente, un giorno (anche se Trump ha ritardato le cose negli Stati Uniti e, probabilmente, a livello globale). Ma un cambiamento internazionale e globale che permetta alle donne di avere il controllo totale del proprio corpo probabilmente non avverrà nell’arco della mia vita. Da un lato mi piace come #FreeTheNipple sia diventato un hashtag comune e diffuso, domestico direi, in quanto dimostra che la maggioranza delle persone sembra essere a favore di esso. D’altra parte il fatto che sia diventato di uso quotidiano, tuttavia, significa che potrebbe aver perso il suo slancio nel creare effettivamente un cambiamento alle regole di censura di Instagram.

Ci pare che tu giochi con le immagini e con il concetto di corpo-come-soggetto in un modo molto politico, specialmente nella serie Emoji. Qual è il tuo punto di vista? Le immagini del corpo sono sempre politicizzate? Dovrebbero esserlo?

Penso che la politicizzazione del corpo dipenda dall’interpretazione della persona che lo guarda. Per me, un corpo è un corpo. È una cosa bellissima, se non del tutto normale, che usiamo tutti come una macchina. Mi stanco spesso della costante manutenzione del mio corpo: pisciare e mangiare, cacare e bere… un affare sostanzialmente noioso! Mentre per una persona di un’altra generazione o di un’altra cultura, un corpo nudo è un emblema di un tabù. Credo che sostanzialmente mi piace che la sua interpretazione e decodifica sia flessibilità. E mi piacciono pure le tette.

Dalla serie “Emoji”
CREDITS: http://www.steph-wilson.com/index/

Anche il gesto e gli oggetti di scena sembrano essere una caratteristica importante del lavoro che produci, dando al tutto un forte senso di teatralità. Ti interessa il teatro? Cosa ti fa creare immagini accuratamente composte che potrebbero essere prese come momenti da una performance onirica?

Non ci ho mai pensato davvero. Immagino che consideri il teatro come la vita di tutti i giorni (che significa “tutto il mondo è un palcoscenico”), allora sì. Mi piace immaginare che ciò che sta accadendo davanti alla telecamera sarebbe accaduto indipendentemente dalla mia presenza. Lo scopo di solito è creare qualcosa come “composto ma non composto” il più possibile. Sono un po’ stufa di scatti di moda moralmente statici, piegati sulle ragazze che guardano nell’obiettivo della telecamera.

Cosa fai per rilassarti?

Gioco con il mio pappagallo. E no, non è un’allusione. (Non sempre, comunque.)

Infine, per te, qual è la cosa più importante della creazione di arte?

Conoscere te stesso interpretando ciò che ti circonda.