Eiaculazione femminile tra mito e realtà
Le inglesi lo chiamano squirting. In Spagna invece le donne se vengon a chorros, ossia a getti, mentre in Giappone si usa il termine shiofuki, che letteralmente significa “spruzzo di balena”. I tedeschi, che son gente precisa, usano due parole a seconda di quanto ne viene prodotto: si chiama Fatzke se è abbondante, mentre Pimpf se è in modica quantità.
Di cosa stiamo parlando? Di un argomento di cui tutti dibattono ma che pochi realmente conoscono di persona, l’eiaculazione femminile.
Innanzitutto, esiste realmente? Voi l’avete mai vista?
E poi, in che cosa si distingue dalla normale urina?
E, cosa ancora più utile, come si fa a (far) godere così?
Vediamo di sfatare insieme alcuni miti e dare alla ricerca dell’eiaculazione il giusto spazio che merita all’interno dei divertimenti del sesso.
Sì perché, se una donna non viene, si è divertita solo a metà e se vi dice il contrario, è solo molto gentile con voi. Come nella pubblicità: occorre leccarsi le dita per godere appieno!
Il fatto che, se non altro, esista una parola in ogni lingua per definirla (sì, non ci crederete ma esiste pure in arabo: رش, بخ, حقن .) dovrebbe farci presupporre che non è un fenomeno di allucinazione collettiva, ma è una realtà. L’unica situazione analoga che conosco si chiama religione, ma a differenza della religione lo squirting si vede, si tocca e … si beve pure.
Quindi sì, tranquilli tutti, esiste davvero!
Un’altra cosa abbastanza mitologica di cui si vagheggia è l’esistenza del punto G.
Esiste, non esiste, lo hanno solo le più fortunate (o le più ‘aperte’, a seconda che vi troviate in compagnia di tre amiche o in uno spogliatoio di uomini).
Ho letto in uno studio commissionato recentemente da Soft Paris (https://www.softparis.it/), azienda leader in Francia nella vendita diretta a domicilio di sextoys, che il 50% degli uomini non ha neppure idea di cosa sia, figuriamo sapere dove si trova.
Ora, da parte mia credo poco alle statistiche, ma purtroppo, vissuti i miei primi quarant’anni, posso confermare per esperienza diretta e per sentito dire questa mesta statistica.
Allora facciamo un poco di chiarezza.

Una delle prime rappresentazioni di un utero umano. Ben visibile la clitoride e la sua radice doppia, che affonda nel bacino
CREDITS: incisione realizzata da Hendrik Bary per conto di Reinier de Graaf (1672/1672). L’opera è conservata al Rijksmuseum di Amsterdam
Il punto G esiste, ma non è un punto. Non immaginatelo come un bottone da pigiare, grosso e dorato come il Golden Buzz di America’s Got Talent. Non è un interruttore della luce che si schiaccia, la luce si accende e poi rimane accesa all’infinito. Dovete piuttosto immaginarvela come un’area tutto sommato estesa, dai confini labili, che deve venir mantenuta sollecitata, e anche per un certo periodo di tempo, se si desidera vedere la luce…
Ma andiamo con calma, senza spoilerare proprio tutto.
Uno dei primi medici a parlarne fu un certo Regnier de Graaf, un anatomista olandese vissuto nella seconda metà del 1600 (1641-1673) che nei suoi studi sugli organi riproduttivi descrisse in maniera dettagliata e sostanzialmente corretta l’anatomia dell’apparato riproduttivo femminile (fino ad allora non studiato), individuando all’interno della vagina una zona caratterizzata da una elevatissima sensibilità erogena.
Il punto però deve il suo nome al ginecologo tedesco Grafenberg, che nella prima metà del secolo scorso si interessò di riproduzione e metodi contraccetivi, arrivando a brevettare il primo modello di spirale nel 1929.
La cosa destò tanto scalpore immediato, quanto poco interesse nel lungo periodo. L’effetto fu che tutti si dimenticarono che esistesse e le donne di averlo e pertanto, povere loro, di usarlo per il successivo mezzo secolo.
La sua consacrazione scientifica avvenne solamente nel 1982 ad opera di Alice Lada e Beverly Whipple che ne descrissero posizione e caratteristiche. Non furono molto scientifiche: scopiazzarono il lavoro del ginecologo berlinese e ne utilizzarono il nome per battezzare la loro “scoperta” e darle credibilità maggiore. Ma ebbero il sicuro effetto di parlarne, rendendo pubblico un dibattito che fino a quel momento era relegato a chiacchiera muliebre priva di valore.
L’idea dell’esistenza di un punto specifico, di un “bottone” che accende il piacere attualmente viene però ritenuta non precisa dalla letteratura scientifica corrente.
Mi spiego meglio: non è le donne abbiano un punto geograficamente limitato che occorre schiacciare per farle godere. Non siamo un ascensore o un frullatore.
Andiamo oltre: avete presente quando si parla di orgasmo vaginale o clitorideo, come se le due cose fossero in antitesi? Del tipo: ma quale hai tu, il primo o il secondo?
Ecco, uguale. Le donne non sono elettrodomestici, o pianoforti a voler essere eleganti, che vengono accese o spente a seconda del tasto che si tocca.
I ricercatori hanno infatti disegnato una sorta di mappa intima battezzata CUV (complesso clitoro-uretro-vaginale), che include tessuti, muscoli, ghiandole e utero.

Sezione e vista frontale dell’apparato genitale femminile. Chiaramente indicate, le ghiandole di Bartolini che, assieme a quelle di Skene, poste poco più in alto dell’apertura uretrale, distillano l’eiaculato femminile
CREDITS: immagine web
In pratica, affermano che le aree intime femminili sono nel loro complesso delle strutture altamente ricettive, mobili e sensibili e non devono essere viste come semplice somma di bottoncini da premere in sequenza: il punto G è quindi una vasta area e non un punto preciso da stimolare dell’interno della vagina femminile.
Quando ho letto questa cosa mi è venuto in mente Lino Banfi in “Vieni avanti cretino”.
Ecco. No! Non così!
Sono andata avanti a studiare e ho scoperto che in questa zona CUV esistono due particolari tipi di ghiandole: quelle di Bartolini e quelle parauretrali di Skene (note anche come prostata femminile), che si riempiono di liquido durante l’attività sessuale per poi svuotarsi. Il fluido viene emesso in buona parte attraverso l’uretra ma anche dalla vulva stessa a cui le ghiandole sono collegate da particolari dotti. La sua quantità e consistenza varia da donna a donna e per la stessa donna dal momento del ciclo e dalle condizioni psicofisiche in generale. Come per ogni prestazione sportiva di carattere fisico la resa dipende da come ci si sente. In generale varia da pochi millilitri di liquido biancastro a più di 150 millilitri di liquido trasparente. La sua natura d’altro canto è controversa e tutt’ora oggetto di studio, proprio perché così soggetta a variazioni da persona a persona e da momento a momento. Posso dirvi che queste ghiandole, studiate alla risonanza magnetica hanno un volume a riposo di 2/4 ml. Posso anche dirvi che non sono mai state studiate in attività, quindi non è dato sapere al momento se sono estensibili e di quanto. È come vedere un pene solamente a riposo e definirne con certezza il volume e la forma. In ogni caso le analisi chimiche effettuate sulla composizione di quanto emesse mostrano variazioni significative in relazione alla quantità, concentrazioni di urea, acido urico e creatinina simili a quelle dell’urina
Possiamo quindi individuare tre tipi di fluido emesso, a seconda della sua composizione.
– Trasudato vaginale, quello che volgarmente viene definito il “bagnarsi”. È una produzione “estrogeno-dipendente”, legata quindi direttamente all’equilibrio ormonale della donna. Il fluido, trasparente e omogeneo, si crea per il lento deflusso del sangue attraverso i capillari che irrorano l’epitelio vaginale. Questo consente il passaggio di un filtrato plasmatico dal letto vascolare al cosiddetto “terzo spazio” e quindi, attraverso l’epitelio, alla cavità vaginale. In condizioni di riposo, esiste un modesto passaggio attraverso l’epitelio, bilanciato però dal riassorbimento, sufficiente a umidificare la vagina e a consentire una penetrazione non dolorosa. A riposo le pareti vaginali anteriore e posteriore sono “collibite” si dice -cioè a contatto l’una con altra- separate da un sottilissimo film di liquido vaginale umidificante.
Durante l’eccitazione sessuale invece il flusso ematico all’epitelio vaginale aumenta rapidamente come conseguenza dell’innervazione parasimpatica del nervo pelvico (insomma, il CUV si mette al lavoro!). Questo determina l’incremento della quota di trasudato presente tra le cellule dell’epitelio vaginale che satura la capacità di riassorbimento, riversandosi così nella vagina, che nel frattempo si sarà aperta e dilatata.
– Squirting, che altro non è che l’espulsione orgasmica di urine diluite. In questo caso la concentrazione di urea, acido urico e creatinina simili a quelle dell’urina e la componente ghiandolare diretta è ridotta.
I getti dello squirting non sono sempre uguali: a un estremo abbiamo le fontane nella mitologia del porno, veri e propri zampilli, mentre all’estremo opposto si colloca il dribbling, termine mutuato dal linguaggio medico che significa letteralmente “gocciolamento”. Tra questi due punti fermi, immaginatevi una intera gamma di infinite possibili modi di venire.
– Eiaculato femminile vero e proprio, inteso come il fluido biancastro prodotto dalla “prostata femminile” in quantità minore rispetto al maschio e dall’aspetto lattescente. La quantità di urina è molto limitata se non assente.
In ogni caso, da un punto di vista prettamente medico-anatomico, le ghiandole furono individuate nel 1870 circa ma ci volle più di un secolo perché venisse la voglia di capire la loro reale funzione.
Ora lo sforzo probabilmente sarà accettarla.
Se vi è venuta una certa voglia di toccare con mano, seguiteci! Eccovi quindi la magica TOP 5 da tenere a mente.